Un inverter per lampada fluorescente da 20 W

28 novembre 2021: Questa pagina è stata originariamente scritta tra il 2008 ed il 2009. Circa quattordici anni fa, questi circuiti sono stati usati prima per il mio garage, poi per una cantina di un amico. Sia io che lui abbiamo traslocato diverse volte, ma a quanto ne so sono rimasti ancora in quella cantina e qualcuno ormai li avrà gettati. Dove vivo ora, il mio garage è illuminato con degli ottimi diodi led bianchi e non più con una lampada al neon. Guardando questi accrocchi oggi, credo col senno di poi che avrei potuto far molto meglio. Per esempio, all'epoca purtroppo non ero a conoscenza delle bellissime application note di Jim Williams di Linear dedicate agli inverter per neon (AN49 e AN65). Se dovessi alimentare un neon oggi, partirei sicuramente da queste, per esempio il circuito di figura 37 dell'AN65, magari adattandolo a componenti più moderni.

Introduzione
Descrizione del circuito
La realizzazione
Altre realizzazioni
Conclusione

Introduzione

Il circuito montato con la lampada. Negli ultimi anni, ho abitato in una casa che dispone di un garage abbastanza ampio che uso anche come ripostiglio. Uno dei difetti del box è il fatto che non è assolutamente disponibile nessun tipo di illuminazione elettrica, né tantomeno una presa di corrente. Ho quindi il problema sia di evitare di rifare una fiancata all'automobile ogni volta che la utilizzo, sia di vedere cosa faccio quando recupero qualcosa che conservo laggiù.

Ritrovandomi con una batteria da automobile che iniziava a soffrire un po' durante l'inverno, l'ho sostituita e mi sono detto che era un peccato gettarla, non essendo ancora completamente inutilizzabile e che avrei potuto comunque destinarla a qualcosa di utile. Data poi la diffusione delle lampade fluorescenti a basso consumo energetico ed il conseguente crollo dei prezzi, mi sono posto il problema di realizzare un piccolo inverter capace di accendere un tubo fluorescente compatto da 20 W e risolvere così il problema di vederci qualcosa in garage.

Ricordo che una lampada fluorescente del tipo a risparmio energetico non è altro che un tubo a scarica, ripiegato di modo da avere un ingombro limitato. Una scarica elettrica viene provocata all'interno del tubo, nel vapore di mercurio a bassa pressione che vi è contenuto. La scarica provoca una emissione ultravioletta che viene poi convertita in luce visibile dai fosfori depositati sulla superficie interna del tubo. Ed il neon dov'è? Non c'è... Con un certo abuso di linguaggio, si tende a chiamare lampade al neon pure questi dispositivi che con il neon in realtà non c'entrano nulla. Una scarica al neon ha un colore arancione chiaro, date un po' un'occhiata a quest'orologio se non avete presente di che si tratti.

Descrizione del circuito

Prima versione:

Un primo tentativo che ho fatto è stato su un circuito piuttosto semplice, ma non per questo facile da mettere a punto. Si tratta di un oscillatore di tipo 'blocking', che funziona su una frequenza di qualche centinaio di kHz. Il tubo a scarica è stato ricavato da una lampadina a risparmio energetico da 20 W, a cui ho eliminato l'attacco a vite ed il circuito elettronico che fa accendere la lampada a partire dai 230 V dell'alimentazione di rete.

La prima versione dell'inverter.

Il disegno è disponibile anche in formato FidoCadJ scaricando il file inverter_neon.fcd.

Il principio di funzionamento è il seguente: una volta data corrente al tutto, il MOSFET di potenza viene mandato in conduzione (grazie al driver formato dai transistor NPN e PNP), attraverso la resistenza da 3,9 kOhm. La corrente nell'avvolgimento collegato al drain inizia quindi a salire e quindi ci sarà una tensione indotta pure nel secondo avvolgimento da 3 spire che fa capo al gate attraverso il driver, e che tenderà quindi a spingere ancora di più in conduzione il MOSFET.

La corrente tenderà a salire fino a che il nucleo del trasformatore non inizierà ad andare in saturazione, facendo diminuire piuttosto bruscamente la corrente nel secondo avvolgimento. La corrente nell'avvolgimento collegato al drain si ridurrà proporzionalmente e diminuirà ulteriormente quella indotta nel secondo, fino a che il transistor non sarà completamente spento ed il ciclo potrà ripartire.

Il trasformatore è in realtà formato da due induttori accoppiati su un nucleo ferromagnetico con traferro. Questo perché in realtà il circuito si comporta sostanzialmente come un flyback e vi è necessità di immagazzinare una certa energia durante ogni ciclo. Gli avvolgimenti sono avvolti su un piccolo nucleo ed E in ferrite con sezione di 6 mm x 6 mm e presenta un traferro di circa 1 mm.

Il tutto forma quindi un oscillatore a rilassamento ed i pochi componenti attorno ai transistor sono stati aggiunti per ritoccare la forma d'onda ottenuta ed aumentare il rendimento. Un artifizio interessante è quello di utilizzare un'induttanza da 120 µH che satura a circa 3/4 della corrente massima a cui viene sottoposta. Ciò permette di ottenere un comportamento nonlineare che rende più rapida la commutazione del mosfet riducendo in pratica la potenza dissipata durante la commutazione.

Quando la lampada è accesa e la scarica è stabile, essa si comporta in pratica come un carico quasi resistivo e il condensatore da 560 pF postovi in serie permette di ottenere una risonanza alla frequenza di lavoro dell'inverter, grazie anche all'induttanza dispersa riportata al secondario del trasformatore. Questo vuole dire che a livello della lampada, la tensione in gioco è abbastanza sinusoidale, di qualche centinaio di volt efficaci, nonostante la commutazione del MOSFET sia di tipo on/off. Durante il transitorio di accensione, la lampada è invece un carico capacitivo e la tensione può assumere valori dell'ordine del chilovolt, capaci di innescare la scarica senza aver bisogno di riscaldare i catodi. Il consumo con alimentazione a 12,5 V è di circa 1,5 A a regime.

Questo circuito ha funzionato in maniera più che soddisfacente per alcuni mesi e con un buon rendimento (difficile fornire valori, dato che non sono attrezzato sufficientemente per effettuare misure in alta tensione sul secondario del trasformatore). Il difetto principale del circuito è che se per una ragione o per un'altra l'oscillatore non parte, ci si ritrova ad avere il MOSFET in conduzione, che si comporta in maniera non troppo lontana da un corto secco e che avrebbe vita molto breve in assenza del fusibile (SEMPRE necessario nei circuiti con batterie un po' robuste). Questo mi è accaduto quando il tubo, un po' maltrattato durante la messa a punto del circuito, è arrivato a fine vita. Per questa ragione, al momento di sostituire la lampada, ho deciso di rivedere il circuito di modo che fosse meno critico.

Seconda versione:

La seconda versione è formata da un circuito forse meno interessante, ma più semplice da mettere a punto, costruito attorno ad un classico oscillatore astabile formato da un NE555. La frequenza di lavoro si piazza attorno ai 40 kHz ed è quindi più bassa di più di una decade rispetto alla prima versione del circuito. Il potenziometro R2 permette di far variare il duty cycle dell'oscillatore e quindi della potenza inviata alla lampada.

La seconda versione dell'inverter.

Il disegno è disponibile anche in formato FidoCadJ scaricando il file inverter_neon_v2.fcd.

Si ritrova all'uscita del NE555 un driver per il MOSFET Q3, formato dai transistor Q1 e Q2 montati in configurazione push-pull. Questo è importante perché per assicurare un buon rendimento è necessario pompare molta corrente nel gate del MOSFET di modo che passi molto velocemente dall'interdizione alla saturazione.

Durante l'accensione, la tensione sul secondario è sostanzialmente impulsiva e può raggiungere valori di picco molto elevati. Questo provoca la scarica senza bisogno di riscaldare i catodi e quando questa è stabile, la tensione diventa praticamente sinusoidale e si stabilizza a qualche centinaio di volt efficaci. Se il MOSFET si mettesse ad autooscillare, si può aggiungere una resistenza da 10  Ohm in serie tra il driver ed il gate.

La realizzazione

All'interno della scatola. Una particolarità del mio circuito è il fatto che il primario del trasformatore è formato da sole tre spire. Questo richiede di fare attenzione ad eseguire dei collegamenti molto corti tra l'avvolgimento, il MOSFET ed il condensatore C4, che deve essere a bassa ESR e che è piuttosto sollecitato. Ho quindi basato il mio montaggio su una aletta dissipatrice in alluminio di dimensione adeguata ad occuparsi di 6 o 7 W di dissipazione (il circuito ne dissipa meno, ma è meglio prendere un po' di margine, soprattutto se viene montato in un contenitore chiuso). Su di questa ho quindi fissato il MOSFET, il trasformatore, il condensatore C4 ed il semplice oscillatore che ho costruito su un piccolo pezzo di basetta millefori. Il tutto è poi messo in una piccola scatola che comprende il fusibile e l'interruttore di accensione. Se si prevede di utilizzare il circuito in maniera continuativa, è fondamentale prevedere dei fori che permettano all'aria di circolare liberamente e di raffreddare l'aletta. Nel mio caso, non ho forato il contenitore ma sono più che sicuro che il circuito non funzionerà mai per più di qualche minuto in maniera continuativa.

Il circuito. Qui a fianco si vede un particolare del retro del circuito. Da quanto leggo in diversi gruppi di discussione, sembra che ultimamente molti snobbino un po' i circuiti montati su millefori. In realtà, con un po' di attenzione si ottengono dei circuiti affidabili e molto compatti. Si vede bene come ho assemblato gli avvolgimenti del trasformatore su un rocchetto realizzato con del cartoncino sottile di recupero. Per evitare problemi legati all'effetto pelle, il primario di tre spire è realizzato con una treccia fatta da quattro fili di rame smaltati di diametro opportuno. Un distanziatore metallico permette di mantenere il MOSFET sull'aletta e di fissarvi sopra il circuito. Non ho isolato l'aletta per favorire il trasferimento termico, il che vuol dire che particolare attenzione va fatta ad evitare cortocircuiti ed ecco quindi che ho isolato con un paio di giri di nastro isolante i contatti del portafusibile montato a pannello. Come ho detto sopra, bisogna sempre utilizzare un fusibile su circuiti a batteria per scongiurare rischi di incendio.

Il lato saldature. Ecco il circuito fissato sopra il distanziatore. Come si vede, una sola vite tiene tutto in posizione ed il trimmer di regolazione è facilmente accessibile. La taratura del circuito va fatta sorvegliandone molto attentamente il consumo di modo che sia tra 2 A e 2,5 A. Regimi di funzionamento troppo bassi sono da evitare perché la lampada potrebbe avere difficoltà a far partire una scarica stabile. Un breve lampo di luce viola in corrispondenza degli elettrodi è normale durante l'accensione, ma bisogna assolutamente evitare che questo regime di funzionamento duri più di un secondo. Il bagliore violaceo è difatti formato da un plasma e lo sputtering degli elettrodi annerisce internamente il tubo riducendone l'efficienza e danneggiandolo. Si potrebbe studiare un sistema per riscaldare i catodi... ma sarà nella prossima versione del circuito :-)

Altre realizzazioni

29 agosto 2010 - Simone Giubilo ha realizzato alcuni esemplari di questo circuito e mi ha contattato perché potessi mostrare qui le fotografie che mi ha inviato. Il circuito gli serviva per illuminare le tavolate durante le cene estive in spiaggia e sono felice che gli sia stato utile. Simone ha dapprima realizzato un circuito adatto ad accendere una sola lampada. Il tutto funzionava bene, ma il trasformatore realizzato su un nucleo toroidale si scalda perché tende a saturare durante una parte del ciclo. La seconda realizzazione è fatta con tre trasformatori pilotati da altrettanti mosfet, adatti ad accendere tre lampade allo stesso tempo. Per poter utilizzare un'aletta di raffreddamento abbastanza piccola, Simone ha adottato una ventolina per il raffreddamento del circuito. Simone ne ha parlato nel suo blog.

Il circuito di Simone Giubilo 1 Il circuito di Simone Giubilo 2 Il circuito di Simone Giubilo 3

Conclusione

In questo articolo, abbiamo descritto un convertitore adatto ad accendere una lampada fluorescente da 20 W a partire da un'alimentazione in continua a 12 V. Per terminare, qui sotto una foto della lampada smontata durante una prova al banco. Una lampada fluorescente da 20 W è tranquillamente adatta ad illuminare da sola una stanza e fa sembrare poca cosa la lampada da tavolo alogena da 30 W che vi è posata affianco.

Il circuito in funzione. Creative Commons License
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Log:

November 28, 2021 - Added a note and this log.

September 3, 2009 - Second version of the page, second circuit (NE555).

2008 - First version of the page, first circuit.