L'ipotesi atomica

Nota del 2013: carino vedere cosa scrivevo nella primavera del 1998... Certe cose mi interessano ancora, ma il testo è un po' ingenuo.


Introduzione
Il mondo è composto da atomi
Al di sotto dell'atomo: il nucleo
Le particelle che costituiscono il nucleo
Al di sotto del nucleo: i quark
Al di fuori del nucleo: i leptoni
Lo spin
Materia ed antimateria
Le quattro interazioni fondamentali
Unificazioni e differenze
Lo studio sperimentale
Le basi teoriche: il modello standard

Introduzione

Nel 1963, uno dei più grandi fisici di questo secolo Richard Feynman disse “Se, nel corso di un qualche cataclisma, dovesse andare distrutto tutto il sapere scientifico, e si potesse trasmettere alla successiva generazione solo una frase, quale proposizione conterrebbe il massimo d’informazione nel minor numero di parole? Io credo che sia l’ipotesi atomica (o il fatto atomico, o comunque vogliate chiamarlo), che tutte le cose sono composte da atomi...”

Il mondo è composto da atomi

Nella nostra esperienza quotidiana, ci troviamo spesso ad affrontare quantità che, a prima vista, ci appaiono scomponibili indefinitamente, ma che poi si rivelano composte da unità discrete, molto piccole, e non più divisibili. Un esempio di questo si ha quando versiamo lo zucchero nel caffè ogni mattina: avrebbe poco senso misurarne la quantità in granelli invece che in cucchiaini. Questo avviene anche con la materia di cui siamo fatti noi ed il nostro mondo, con la differenza che i “granelli” elementari, gli atomi, sono molto più piccoli di quelli dello zucchero!
Fra i primi che hanno supposto che la materia fosse composta da un gran numero di mattoncini elementari non più scomponibili (“atomo” vuole dire sostanzialmente questo), troviamo Leucippo (470 a.C.) e Democrito (420 a.C.), i quali basavano i loro ragionamenti esclusivamente su riflessioni e processi mentali, non supportati tuttavia da alcun dato empirico. Più in tempi recenti, la teoria atomistica, avversata dalla Chiesa e dalle autorità, fu adattata al pensiero contemporaneo dal filosofo Pierre Gassendi (1592-1655) ed in particolare da Robert Boyle (1627-1691) che iniziò a delineare la corrispondenza tra i diversi atomi e gli elementi chimici. Ma fu attraverso l’opera di un importante chimico, John Dalton (1766-1844), che tale teoria iniziò ad acquistare una certa rilevanza nel campo della scienza. In seguito, con l’ideazione della tavola periodica degli elementi da parte dello scienziato russo Dmitri Mendeleev (1834-1907), risultarono raggruppati chiaramente gli atomi (e dunque gli elementi chimici), che possedevano caratteristiche simili e numero atomico crescente.
Una buona parte della comunità scientifica, tuttavia permaneva ancora molto scettica nei confronti dell’atomismo, e solo all’inizio del ventesimo secolo si riuscirono a trovare prove chiare ed  inoppugnabili nei confronti di esso. Fra di esse ha una notevole importanza il lavoro di Albert Einstein (1879-1955) sui moti browniani, ovvero i rapidi movimenti descritti da granuli di diametro inferiore a 1/2000 di mm immersi in un fluido. Secondo gli studi di Einstein (pubblicati nel 1905 sull’Annalen der Physick vol. 17, assieme al suo fondamentale lavoro sulla relatività ristretta e sull’effetto fotoelettrico), tali moti sono appunto da addebitarsi agli urti  fra gli atomi del fluido, in continuo movimento, ed il granulo.

Al di sotto dell'atomo: il nucleo

In questo contesto scientifico, un quesito diventò pressante per gli scienziati: gli atomi sono realmente indivisibili, o sono composti da “mattoncini” ancora più elementari? In realtà, nel 1897, Thomson (1856-1940) aveva già scoperto l’elettrone, portatore di carica negativa, analizzando la deviazione dei raggi catodici in un tubo a vuoto, sottoposto all’azione di un campo elettrico (i lavori di Lorenz sulla forza che prende il suo nome sono di questi anni), ma restava ancora da scoprire come essi fossero in relazione con l’atomo. Lo stesso Thomson propose allora un modello atomico in cui gli elettroni si trovavano disposti uniformemente all’interno di una sferetta carica positivamente, un po’ come l’uvetta in un panettone. Tale modello tuttavia si rivelò presto inadeguato a spiegare diversi punti, in particolare la facilità con cui si estraggono gli elettroni dall’atomo e come mai la forza repulsiva dovuta alla carica elettrica non li inducesse a sfuggire.
Un decisivo passo in avanti si ebbe con la scoperta del nucleo, compiuta nel 1911 da Ernest Rutherford nel laboratorio di Manchester, bombardando una lamina d’oro tramite un fascio di particelle alfa. Venne sviluppato così un modello in cui la carica positiva dell’atomo è concentrata al centro in un nucleo molto piccolo e straordinariamente denso, mentre gli elettroni vi orbitano intorno. Si arrivò alla fondamentale conclusione che la materia è costituita in grandissima parte da spazio vuoto. In seguito, l’ancor rudimentale modello di Rutherford venne migliorato da un suo giovane allievo, Niels Bohr (1885-1962), il quale identificò all’interno dell’atomo dei “livelli energetici”, ovvero delle orbite percorse dagli elettroni, ben separate fra di loro. Un atomo eccitato presenterà dunque, secondo tale modello, degli elettroni che si trovano su un livello energetico più elevato di quello che occupavano nell’atomo in quiete. Nel rientrare nello stato di quiete, essi emetteranno dunque una radiazione di frequenza proporzionale all’energia rilasciata, secondo la legge di Planck E=hv (h vale 6,6262*10-34J*s). Un elettrone non potrà mai orbitare ad un livello intermedio e, dunque, l’assorbimento di energia da parte dell’atomo avviene secondo pacchetti discreti denominati quanti.
Seppure decisamente promettenti, le teorie di Bohr lasciavano ancora dei punti poco chiari e, proprio dal superamento di tali punti nacque la moderna meccanica quantistica; in particolare, venne abbandonato il concetto di orbita circolare ed ellittica, e si adottò quello di orbitale, ovvero una regione di spazio che presenta una probabilità definita di essere attraversata da elettroni.

Le particelle che costituiscono il nucleo

Restò allora da approfondire l’indagine sul nucleo atomico: capire se esso fosse divisibile e, se tale, quali forze ne impediscano la disgregazione.
Intorno al 1926, la presenza nel nucleo di particelle positive, i protoni, in eguale numero rispetto agli elettroni, era accertata. Si osservava tuttavia una certa non linearità fra i pesi ed i numeri atomici, colmabile solo postulando la presenza di una seconda particella elettricamente neutra, ma di massa quasi eguale a quella del protone. La prima osservazione diretta del neutrone avvenne nel 1932.
Così come l’elettrone si presenta come la più piccola carica negativa presente in libertà in natura, allo stesso modo il protone ne è la più piccola positiva; la massa del protone è tuttavia 1836 volte circa quella dell’elettrone. I vari elementi chimici si distinguono dunque fra di loro per il numero atomico, rappresentante il numero di protoni nel nucleo (e dunque di elettroni negli orbitali dell’atomo neutro) ed il numero di massa, il “peso” del nucleo espresso in unità di massa atomica, ovvero il numero complessivo di neutroni e di protoni presenti in esso. Si nota tuttavia un fatto: se per ciascun elemento si trova un unico e definito numero atomico, lo stesso non si può dire per il numero di massa. Di tutti gli elementi presenti in natura e sintetizzati dall’uomo esistono, seppure in piccole percentuali, atomi che presentano una massa diversa dalla media. Questi atomi si definiscono isotopi e sono in tutto e per tutto equivalenti, ai fini dei legami chimici, agli atomi di massa “normale”. Possono tuttavia avere caratteristiche diverse sul piano radioattivo e questa è una peculiarità sfruttata in attività quali la datazione dei reperti archeologici (attraverso il 14C), od i processi di fissione messi a punto dall’uomo.

Al di sotto del nucleo: i quark

Anche per le particelle del nucleo, si proseguì con la solita domanda se ci sia “qualcosa sotto” anche in questo caso, o se i protoni ed i neutroni siano indivisibili. Ebbene, l’analisi progressiva più accurata, resa possibile sperimentalmente da macchine sempre più grandi e potenti e, nella teoria, dall’affinarsi dei modelli quantistici indicarono che la strada non era terminata. Si iniziò a parlare di quark a partire dai primi anni sessanta e, nel 1968, studiando le collisioni di elettroni accelerati ad alta energia, nello SLAC (Stanford Linear Accelerator Center di Palo Alto in California), con esperimenti analoghi rispetto a quelli compiuti da Rutherford per il nucleo, si scoprì che i protoni ed i neutroni sono composti da particelle più elementari ritenute attualmente il termine ultimo dell’infinitamente piccolo.
Per la verità, già anni prima, si erano scoperte un gran numero di particelle simili, sotto certi aspetti, ai protoni ed ai neutroni ed il gran numero di esse, nonché alcune peculiari caratteristiche, facevano perlomeno supporre l’esistenza di un livello ancora inferiore, rappresentato dai quark. Tali particelle (ed assieme a loro il protone ed il neutrone) sono chiamate collettivamente adroni.
Dalla teoria e da esperimenti successivi, si sono studiate un po’ meglio le caratteristiche dei vari quark e, ad uno ad uno, sono stati prodotti in laboratorio. Attualmente, si conoscono tre famiglie composte ciascuna da due quark: la prima famiglia presenta la massa minore e comprende Up e Down (Su e Giù), la seconda ha una massa più rilevante e ne fanno parte Charm e Strange (Fascino e Strano), la terza possiede una massa notevole ed è composta da Top e Bottom (Alto e Basso). La scoperta di Top, l’ultimo quark che mancava all’appello, è datata 1995; esso era privo di una conferma sperimentale da parecchi anni, per la massa veramente elevata che lo caratterizza (circa 165 masse protoniche).
Ponendo uguale a -1 la carica di un elettrone, i quark Up, Charm e Top possiedono carica uguale a 2/3, mentre gli altri quark, ovvero Down, Strange e Bottom possiedono una carica elettrica pari a -1/3. Due quark Up ed un solo Down compongono dunque un protone e due Down ed un Up un neutrone. Prendendo in considerazione tutto il sestetto, si nota come le varie combinazioni diano origine ad un gran numero di adroni differenti, spiegabili coerentemente attraverso le interazioni fra i quark. Ma perchè i quark non si trovano in natura allo stato libero, ma solo combinati? Per rispondere a questo quesito, si deve evidenziare che i quark sono portatori di un certo tipo di carica, detta di colore (o forte), la quale, a differenza della forza elettrica, non si presenta nel mondo quotidiano. E’ proprio tale forza che tiene insieme gli altri quark, fino a formare gli adroni. Una caratteristica peculiare che contraddistingue il protone ed il neutrone nei confronti degli altri adroni è la stabilità. Una particella si dice stabile quando non decade, ovvero non si trasforma spontaneamente in altre particelle più semplici emettendo una certa quantità di energia. Tutti gli altri adroni possiedono dei tempi di decadimento di frazioni più o meno brevi di secondo.
Al momento attuale, pare che pure il protone possa decadere in un tempo superiore a 1033 anni, ma gli esperimenti volti ad osservare questo processo in laboratori sotterranei (Gran Sasso, Frejus, Monte Bianco) condotti su base statistica hanno finora fornito risultati negativi.

Al di fuori del nucleo: i leptoni

Dopo aver parlato del nucleo, è opportuno presentare un’altra famiglia di particelle elementari che possiedono una grande importanza, ovvero i leptoni. Essi comprendono gli elettroni (e), i muoni (m), i tauoni (τ), i neutrini (ν) e le relative antiparticelle. Allo stato presente di indagine dentro la materia, essi sono considerati, assieme ai quark (compresi ovviamente gli antiquark), i mattoni fondamentali di tutto l’universo. Analizzando un po’ più a fondo la famiglia dei leptoni, è importante evidenziare che, pur possedendo la medesima carica elettrica, i muoni e soprattutto i tauoni hanno una massa molto maggiore rispetto agli elettroni e, sempre a differenza di questi ultimi, sono particelle instabili e dunque decadono nel corso di pochi microsecondi.
E’interessante rilevare che proprio lo studio del tempo di decadimento dei muoni possedenti una certa energia -e dunque viaggianti a velocità prossime a quelle della luce- abbia potuto confermare direttamente l’effetto relativistico di dilatazione del tempo, teorizzato da Einstein nell’ambito della relatività speciale nel 1905.
Per ciascuna di queste particelle, i leptoni carichi, ovvero e, m e τ, esiste un corrispondente neutrino, una particella ipotizzata per “far quadrare i conti” da Enrico Fermi durante lo studio del decadimento radioattivo del nucleo. Vi è un tipo di neutrino per ciascun leptone carico e dunque il neutrino elettronico (νe), il neutrino muonico (νm) ed il neutrino tauonico (νt). Tutti e tre non possiedono carica elettrica ed hanno una massa molto piccola, se non nulla. Recenti (scrivo nel 1998) esperimenti hanno tuttavia lasciato intendere un valore compreso tra 0,5 e 5 eV, ma le difficoltà da affrontare per rilevarla, poiché il neutrino è una particella che interagisce solo in rarissimi casi, impongono di prendere con estrema cautela tale valore. Ogni giorno, la terra è investita da un flusso notevolissimo di neutrini di origine solare ed essi la attraversano interamente alla velocità della luce, venendo frenati in misura infinitesimale.

Lo spin

Quando si parla di unità subatomiche, è necessario introdurre una nuova grandezza che le caratterizza, lo spin. Esso è rappresentato dal momento di rotazione proprio ed è immaginabile intuitivamente paragonando la particella ad una trottola che giri su se stessa. Lo spin è una caratteristica strettamente legata a ciascuna particella elementare e si presenta esclusivamente in maniera discreta, ovvero come multiplo intero o semintero dell’unità rappresentata da h (costante di Plank), divisa per 2 e per pi greco.
Il concetto, completamente estraneo alla meccanica classica, fu introdotto in quella quantistica per la prima volta nel 1925, per spiegare alcuni comportamenti anomali, supponendo che l’elettrone ruotasse su se stesso, con un momento angolare orientabile solo parallelamente od antiparallelamente rispetto ad una direzione prefissata. Nel 1928, Dirac riuscì a dimostrare come lo spin sia una caratteristica deducibile direttamente dalla teoria quantistica. A seconda dello spin, le particelle sono state divise in due grandi famiglie: quella dei fermioni (in onore di Enrico Fermi), che possiedono spin semintero, e quella dei bosoni (in onore del fisico indiano Satyaendra Nath Bose), che possiedono spin intero.

Materia ed antimateria

Intorno al 1931, un giovane e brillante fisico, Paul Adrien Maurice Dirac (1902-1984) formulò una equazione descrivente il comportamento di particelle come l’elettrone o il protone che si rivelava estremamente accurata, sotto qualsiasi punto di vista, tranne uno: l’equazione prevedeva infatti la presenza di particelle in tutto e per tutto analoghe a quelle ordinarie, ma con carica elettrica invertita. Dunque, da tale analisi venivano evidenziate stranezze come i protoni negativi od elettroni positivi accanto agli elettroni e protoni ordinari e già conosciuti piuttosto bene. Per tale lavoro, Dirac fu insignito, assieme ad Edwin Schrödinger, del premio Nobel per la fisica nel 1933.
La prima osservazione sperimentale di una antiparticella (così esse vengono chiamate, per distinguerle da quelle costituenti la materia ordinaria) avvenne l’anno successivo studiando i raggi cosmici, ad opera di Carl David Anderson (1905-1982), che ottenne il premio Nobel nel 1936, attraverso una celebre fotografia presa in una camera a nebbia.
Se una antiparticella incontra la propria relativa particella, esse si annichilano assieme liberando una enorme1 quantità di energia, secondo la nota equazione di Einstein E=mc2. Se questa energia è piuttosto grande, risulta possibile la creazione di nuove particelle a partire dall’energia rilasciata durante il processo di annichilazione. E’ per questo che nelle grandi macchine acceleratrici ad anello (come LEP2 al CERN) si usano di solito coppie di fasci di particelle-antiparticelle che vengono fatti ruotare a velocità relativistiche e poi fatti collidere. Viene così concentrata in una piccola superficie un’energia molto elevata, rendendo possibile la creazione di materia.
Nel 1997, presso il CERN di Ginevra sono stati prodotti alcuni atomi di anti-idrogeno, formati da un antielettrone (o positrone) e da un antiprotone come nucleo. Tali risultati sono stati pregevoli e di sicuro hanno aperto moltissime possibilità. Restano da risolvere tuttavia diversi quesiti; non si conoscono con esattezza le differenze tra la materia e l’antimateria e non è possibile, con le nozioni attuali, determinare se il nostro universo sia costituito interamente da materia (anche se vi sono ragioni per supporlo) o se alcune galassie che osserviamo siano in realtà costituite da antimateria. Solo se verranno rilevate differenze evidenziabili tramite tecniche di spettrografia sarà possibile rispondere a questa domanda; inoltre, se il nostro universo fosse costituito solo da materia sorge il problema di determinare perchè sia tale. Una spiegazione convincente sarebbe quella che prevede una leggera asimmetria fra la materia e l’antimateria al momento del Big Bang; il mondo come noi lo vediamo sarebbe proprio ciò che è rimasto dall’annichilamento di materia-antimateria.
Come si vede, la soluzione di tutte le problematiche connesse allo studio dell’antimateria è ben lungi dall’essere trovata e si spera che un futuro non troppo lontano riesca a fornire una risposta plausibile a molti dei problemi che sono stati sollevati.

Le quattro interazioni fondamentali

Un altro aspetto che caratterizza fortemente la materia è rappresentato dalle forze che la tengono insieme e dalle diverse modalità con cui esse si manifestano. Attualmente, si conoscono quattro tipi di interazioni elementari che, a scale diverse, sono responsabili di effetti di grande importanza. Secondo le teorie e le osservazioni compiute, tali forze sono ciascuna mediata da una particella, che rappresenta un po’ la “moneta di scambio” nella interazione. Si cerchi di pensare ad una particella mediatrice come un pallone di gomma che viene scambiato vicendevolmente fra due persone su due barche diverse affiancate in mezzo ad un lago: esse, per conservare la quantità di moto, inizieranno ad allontanarsi; non esiste alcun contatto diretto fra le due persone o le due barche, ma la forza viene esercitata proprio grazie a tale pallone.

La forza gravitazionale

Tale forza è un’interazione che si manifesta fra due masse qualsiasi poste ad una certa distanza; essa è, a differenza della forza elettromagnetica, non schermabile ed esclusivamente attrattiva. La forza gravitazionale può essere studiata, secondo la legge della relatività generale einsteniana, sia da un punto di vista fisico, che da un punto di vista geometrico come deformazione non euclidea dello spazio-tempo in prossimità delle masse. E’possibile fornire un esempio molto semplificato di tale concetto immaginando di porre uno o più oggetti pesanti (per esempio delle sfere) su di una membrana elastica: essa si deformerà per sostenerli. Da un punto di vista fisico, essa è rappresentabile come una forza agente lungo la congiungente delle due masse la cui intensità è direttamente proporzionale al prodotto delle due masse fratto la distanza al quadrato (legge di gravitazione universale di Newton).
L’interazione gravitazionale gioca un ruolo essenziale nel caso di grandi masse poste a distanze molto elevate; essa regola infatti la dinamica dei corpi celesti e rende possibile il formarsi di strutture quali il nostro sistema solare e le galassie, nonché la nascita delle stelle e dei pianeti. La particella mediatrice della interazione gravitazionale, il bosone di Higgs, o gravitone è stata prevista dalla teoria, ma non ha ancora trovato una conferma sperimentale. La sua ricerca costituisce uno degli investimenti su cui punta maggiormente l’indagine scientifica per il prossimo futuro.
La massa non è costante rispetto alla velocità ed è collegata all’energia secondo la nota relazione di Einstein (E=mc2).

La forza elettromagnetica

Si esplica fra due cariche elettriche poste a distanza; può essere sia attrattiva che repulsiva ed è schermabile interponendo fra le due cariche un dielettrico, che fa diminuire il campo. Non si conoscono interpretazioni geometriche e, dal punto di vista fisico, similmente alla forza gravitazionale, agisce secondo la congiungente delle due cariche con un’intensità proporzionale al prodotto delle due cariche fratto la distanza elevata al quadrato (legge di Coulomb). L’interazione elettromagnetica è di diversi ordini di grandezza più intensa di quella gravitazionale ed è la forza responsabile della struttura di atomi e di molecole, esplicandosi fra il nucleo e gli elettroni ruotanti attorno ad esso. La particella mediatrice della forza elettromagnetica è il fotone (g), dotata di massa nulla e contenente una quantità di energia non costante, ma proporzionale alla frequenza di oscillazione f, secondo la legge di Plank: E=hf. Il fotone fu ipotizzato per la prima volta da Albert Einstein per spiegare l’effetto fotoelettrico che non risultava interamente giustificabile alla luce della teoria ondulatoria della luce.

La forza nucleare forte (o di colore)

Questa interazione è responsabile della stabilità dei nuclei atomici ed è di gran lunga più intensa della forza elettromagnetica, ma si estende ad un dominio estremamente limitato che non supera il raggio atomico. Si è già parlato della struttura composta degli adroni in quark; essi sono riuniti dalla interazione forte, che vince le forze repulsive di natura elettrica; essa è mediata da particelle dette gluoni (glue: colla). Vi sono otto gluoni, ognuno con una carica di colore diversa. La disciplina che si occupa delle relazioni fra di essi si chiama cromodinamica quantistica od, in breve, QCD. La carica di colore si chiama così per  analogia con i colori del mondo macroscopico; sebbene non vi sia nessuna relazione diretta fra di essi, le leggi che governano le cariche di colore hanno qualche rassomiglianza nei confronti delle leggi che regolano il sommarsi ed il sottrarsi dei colori primari.

La forza nucleare debole

La forza nucleare debole, pur avendo effetti difficilmente riconoscibili nel mondo macroscopico, riveste tuttavia una grande importanza. Essa è mediata da quanti di campo debole che sono rappresentati da tre bosoni, chiamati W+, Z0 e W-. Per via della loro massa notevole, questi hanno un raggio d’azione estremamente ridotto, pur prendendo in considerazione la scala atomica. La forza debole agisce con tutte le particelle portatrici di una carica debole, ovvero tutti i quark ed i leptoni ed i bosoni W+, Z0 e W-; le uniche particelle che non ne sono interessate sono i fotoni ed i gluoni.
La forza debole è di natura troppo poco intensa per poter legare insieme particelle, come la forza forte, ed il suo effetto principale risulta piuttosto quello di rendere instabili tutti i quark ed i leptoni, tranne quelli di massa inferiore, (Up, e). Questo fenomeno conduce le particelle più massive come i muoni, i tauoni od i quark più pesanti a decadere in minime frazioni di secondo nell’elettrone o nel quark Up. Se la forza nucleare debole non esistesse, esisterebbe un numero notevole di particelle stabili che formerebbero tipi di “atomi” molto diversi l’uno dall’altro. Non potrebbero avere luogo inoltre i processi di fusione nucleare che costituiscono la fonte di energia per le stelle.

Unificazioni e differenze

A partire dagli anni settanta, si è iniziato a pensare alla forza debole ed alla forza elettromagnetica come aspetti differenti del medesimo fenomeno; sebbene gli effetti di queste forze appaiano estremamente diversi, essi sono oggi descritti tramite un insieme di leggi che valgono per entrambe e che dunque sono più generali. Si sono dunque unificate le due forze, così come era accaduto con i lavori di Newton. Egli aveva infatti unificato fenomeni celesti e terreni come Maxwell, che aveva descritto con il medesimo insieme di equazioni sia i fenomeni elettrici, che quelli magnetici.
La predizione dei bosoni W+, Z0 e W- e le loro proprietà fu effettuata negli anni fra il 1971 ed il 1973, ma essi furono osservati sperimentalmente solo nel 1983 al CERN, grazie ai lavori di Carlo Rubbia e di Simon Van Der Meer, che entrambi hanno ricevuto il premio Nobel per la fisica nel 1984.
Il tentativo di unificare i fenomeni e le interazioni è uno dei principali obiettivi che al giorno d’oggi lo studio della fisica delle particelle si pone. Attualmente, ci sono buoni indizi per ritenere che le quattro forze appaiano unificate approfondendo l’indagine nell’infinitamente piccolo, fino a dimensioni dell’ordine di 10-33m. Ciò vuole dire analizzare la materia con energie estremamente elevate, dell’ordine di quelle presenti nell’universo, poche frazioni di secondo dopo il Big Bang. Queste energie  non possono essere raggiunte con gli attuali acceleratori che, al massimo, possono scandagliare la materia fino a 10-18m.

Lo studio sperimentale

Si è parlato spesso del lavoro sperimentale connesso con la ricerca nel campo della fisica delle particelle ed è ora opportuno parlare brevemente delle macchine che vengono usate in questo campo. Così come Rutherford aveva potuto scoprire l’esistenza del nucleo nel 1911 bombardando con un fascio di particelle alfa una lamina d’oro e studiandone i rimbalzi, così ancora oggi il metodo adottato negli apparati sperimentali è quello di portare a collidere, all’interno di  rivelatori, delle particelle (di solito elettroni, positroni, protoni, antiprotoni o ioni pesanti) precedentemente accelerate a grandi energie. La materia che si crea nella collisione darà origine a nuove particelle, di cui vengono studiate le caratteristiche, quali l’energia cinetica posseduta, la massa, la carica elettrica. Maggiore è l’energia che viene liberata nella collisione, più a fondo si potrà condurre l’analisi all’interno della materia.
Fino a qualche tempo fa, la più grande macchina sperimentale costruita era LEP, presso il CERN di Ginevra che, costituita da un anello di 27 chilometri di circonferenza, è situata fra i 50 ed i 100 m nel sottosuolo. Essa è entrata in funzione nel 1989 e poteva accelerare elettroni e positroni sino ad una energia di 100 GeV per fascio che venivano fatti scontrare in quattro grandi esperimenti posti nel sottosuolo: OPAL, DELPHI, ALEPH ed L3. Attualmente, nella galleria di LEP è in costruzione un nuovo acceleratore chiamato LHC (Large Hadron Collider), capace di raggiungere energie ancora superiori.
La ricerca scientifica nel campo delle particelle è una attività di fondamentale importanza per comprendere sia il mondo che ci sta intorno, sia il modo in cui esso si sia formato nel momento del Big Bang, ma è al tempo stesso una attività che richiede enormi risorse sia umane, sia finanziarie ed il CERN rappresenta, sotto questo punto di vista, una riuscita cooperazione internazionale. In esso si trovano poi diverse altre macchine acceleratrici sia ad anello, come PS o SPS (dove sono stati trovati nel 1983 i bosoni W+, Z0 e W-), sia lineari come LINAC. Esse sono interconnesse e rappresentano una grandissima risorsa europea nel campo della fisica.
Negli Stati Uniti, di notevole importanza è il Fermi Laboratory, presso Chicago (Illinois), presso cui, per la prima volta, è stato rilevato il quark Top nel 1995 e che prende il nome dal grande fisico italiano Enrico Fermi (1901-1954), premio Nobel per la fisica nel 1938, che fornì grandi contributi alla indagine nel campo.
Il principio di funzionamento di un acceleratore di particelle ad anello è relativamente semplice. In un tubo, in cui viene fatto il vuoto, si accelerano con dei campi elettrici a radiofrequenza le particelle che rappresentano i “proiettili” della collisione e che vengono continuamente focalizzate e curvate secondo la piegatura dell’anello, grazie a  magneti che vengono posti al di fuori del tubo. Quando i fasci di particelle, che devono essere fatti scontrare e che ruotano separatamente nel medesimo tubo in senso opposto, hanno acquistato una energia adeguata e sono ben focalizzati, essi vengono deviati in modo da intersecarsi all’interno di enormi apparati rivelatori, che analizzano i risultati della collisione.
I rivelatori sono una parte estremamente importante e delicata e forniscono una quantità molto elevata di informazioni, prelevate dallo scontro, che vengono elaborate tramite una rete di calcolatori e poi analizzate dai fisici.
Un altro campo di indagine sperimentale che è direttamente connesso con lo studio della fisica delle particelle è l’analisi dei raggi cosmici, ovvero di quel flusso di particelle di diversa natura che interessano la superficie terrestre continuamente. Molte delle scoperte nel campo delle particelle sono venute fuori proprio dallo studio dell’irradiazione cosmica che mette a disposizione, seppure in maniera piuttosto disordinata, una gran quantità di dati anche ad energie piuttosto elevate. Un esempio di questo è la prima traccia di un positrone, ottenuta nel 1932 in pieno accordo con la teoria di Dirac, o la scoperta del muone, avvenuta nel 1947.

Le basi teoriche: il modello standard

La ricerca sperimentale deve, per potere offrire dei risultati validi, potersi appoggiare su di un insieme di fondamenta teoriche che permettano una interpretazione dei dati offerti dagli esperimenti. Allo stesso modo, i dati sperimentali hanno la funzione di confermare o smentire le previsioni che vengono formulate sulla base della teoria.
Oggi, la base sperimentale per la fisica delle particelle è rappresentata da un vasto insieme di leggi e relazioni conosciute complessivamente con il nome di modello standard. Esso rappresenta la spiegazione di un gruppo molto vasto di fenomeni che si estende fino alla velocità della luce e fino a pochi miliardesimi di secondo dopo il Big Bang. Tale teoria rappresenta dunque un buon grado di completezza, ma questo non vuole dire che non possa venir ampliata in senso più generale.
Tuttavia, il modello standard è in grado di spiegare piuttosto nel dettaglio le interazioni fra le particelle e di giustificare i risultati sperimentali. Alcune proposte per migliorarlo vengono dall’indagine dei fenomeni alla scala di Planck (10-33m), dal problema della grande unificazione, da modelli quali quelli supersimmetrici. Uno dei problemi principali da risolvere è quello di determinare le caratteristiche delle particelle non misurandole, ma attraverso un processo teorico che poggi sulla teoria stessa. Al momento attuale, non è possibile ricavare direttamente dati quali la massa dell’elettrone, se non attraverso analisi sperimentali. Un altro è il raggiungere una piena comprensione del perchè determinati fenomeni avvengano. Questo è un obiettivo estremamente arduo da raggiungere ed il problema affonda le sue radici in questioni filosofiche e non solo scientifiche.

Note:
1- Beninteso su scala atomica!
2- Da qualche tempo, LEP è stato smontato per fare posto a LHC, un nuovo e più potente acceleratore che consentirà di raggiungere energie ancora superiori.